Christian Gatti
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il gioco vale la candela

I ristoranti stellati sono l’esempio più fulgido di sbilanciamento del rapporto costi benefici. Capisco (e pretendo) l’eccellenza, ma il gioco vale la candela?

Prima di compiere tutte le azioni che progetto, faccio sempre una veloce ma attenta valutazione dei “costi”. Se mi occorre un contenitore in legno per riporre gli attrezzi da giardino, prima di farmi travolgere dall’entusiasmo da artigiano, che mi spingerebbe a recuperare dal box il seghetto alternativo e mi proietterebbe immediatamente nel più vicino Leroy Merlin, indago sui prodotti in commercio. Spesso possono risultare più economici di quelli auto-costruiti, per contro potrebbero anche essere meno robusti, ma poco importa tanto ci devo riporre degli attrezzi da giardino, sudici e polverosi.

La valutazione dei “costi” non attiene però alla sola sfera economica. Quando la sera mi ritiro per andare a dormire, chiudo le persiane, chiudo la porta di ingresso, spengo le luci dei pensili della cucina e, in ultimo, spengo le luci del soggiorno, sempre con questa esatta sequenza di eventi. Non perché io sia paranoico come Nicolas Cage ne “Il Genio Della Truffa”, ma perché in prossimità della porta di ingresso c’è un sensore che accende le luci interne, posizionate sopra la soglia di casa, e le spegne dopo una trentina di secondi. E quindi? Quindi approfitto di quelle luci temporizzate per spegnere tutte le altre luci della casa e arrivare, in penombra, fino alla zona notte, dove posso serenamente coricarmi prima di essere avvolto dalle luci delle tenebre.

Ottimizzo, ma non lo faccio sistematicamente; più che altro valuto sempre il rapporto tra costi e benefici. Se, per fare un altro veloce esempio e poi giuro che la smetto e vado al punto, in piena estate rientro a casa per una breve sosta, metto comunque l’auto nel box, per ritrovarla fresca, anche se sarebbe decisamente più comodo lasciarla nel parcheggio sulla strada, subendo però il contrappasso di un microclima centroafricano.

Per dirla in un’altra maniera, anche nelle azioni più elementari, mi pongo costantemente la fatidica domanda: il gioco vale la candela? Ed ecco che, dopo una prefazione che il mio amico Sandro non avrebbe per nulla gradito, vengo davvero al punto.

I ristoranti stellati, che pur rispetto, sono l’esempio più fulgido di sbilanciamento del rapporto costi benefici. E non parlo necessariamente del prezzo da sborsare per un menu degustazione, ma del meccanismo perverso che, di certo, ha concorso a definirlo, quel prezzo. Se perdi una giornata a svuotare un uovo per tappezzarlo di seppia frullata (cefalopode a cui il buon Dio ha già conferito una forma non così dissimile a quella dell’uovo) per poi riempirlo nuovamente del contenuto originario, per alcuni sei un artista, per me sei un criminale.

Il vero genio, se proprio vogliamo, è scoprire che la seppia e l’uovo sono un’accoppiata perfetta, perché alla fin fine, siamo seri, mi stai comunque servendo una seppia e un uovo. Purtroppo però ho la sensazione che non sia nemmeno questo l’aspetto geniale del piatto, dato che poi, quando me lo servi, lo trovo ampiamente corroborato da una generosa grattugiata di tartufo. E, non ancora pago, che fai? Mi posizioni il tutto come se l’uovo fosse esattamente nello stesso punto in cui è stato deposto. Ma ce lo hai mai messo un piede (o anche solo il naso) all’interno di un pollaio?

Sull’eccellenza non discuto. Fatti pure il culo per trovare l’uovo assoluto, pagalo anche dieci volte tanto se il gioco vale la candela e spendi anni della tua vita a girare ogni fottutissimo porto del mediterraneo per selezionare personalmente i molluschi migliori in assoluto, se fa la differenza in termini di gusto. Fatti giustamente pagare, anche salato, per tutta questa ricerca, ma non farti prendere la mano e soprattutto posa immediatamente quel frullatore.

Partendo dagli stessi identici ingredienti, con una mise en place attenta (ma lontana dall’essere puro fumo negli occhi), in un ambiente accogliete, con personale attento e gentile, mi avresti servito il medesimo capolavoro e io lo avrei maggiormente gradito, proprio perché scevro da ogni sovrastruttura puramente artistica e francamente un tantino eccessiva. Una finzione scenica così spasmodica (non tanto nel risultato, quanto nel percorso) è l’indizio provante che il vero valore aggiunto del piatto sia proprio il suo aspetto e non il suo sapore.

Insomma amico caro, assicurati che vernice e intonaco siano perentoriamente di ottima qualità, perché un muro dipinto di bianco resta tale anche se lo hai tinteggiato con un pennello di un millimetro quadrato.