Christian Gatti
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post binge-watching blues

Per quanto non ne sia totalmente immune, la “tristezza da fine serie TV” mi affligge molto relativamente e, di norma, viene curata con una nuova serie TV

Per quanto non ne sia totalmente immune, la “tristezza da fine serie TV” mi affligge molto relativamente e, di norma, viene facilmente curata con una nuova serie TV a cui appassionarsi. Sono invece più sensibile alla cancellazione di tutte quelle serie che, pur con indiscutibile dignità di prosecuzione, si concludano anzitempo, chiaramente per motivazioni commerciali (vedi “Vinyl”).

In verità, mi disturbano anche le serie TV tendenti all’infinito, dove, sempre per evidenti interessi economici, si ha la chiara percezione che gli autori abbiano allungato generosamente il brodo, infarcendo la stagione di episodi cuscinetto o, come li chiamo io, puntate interlocutorie.

Mi fa anche imbestialire la logica per cui l’ultimo episodio di una stagione debba necessariamente avere un finale aperto, proprio perché, in funzione degli interessi commerciali degli investitori, si possa decidere a posteriori se proseguire nell’avventura o abbandonare la nave, lasciando molti spettatori al largo e senza scialuppa di salvataggio.

Vogliamo poi parlare delle Serie TV del tipo bastone e carota? Quelle che indugiano insistentemente su inutili flashback (vedi “Quantico”) oppure, al contrario, ti stuzzicano con flash forward che anticipano qualcosa di sconvolgente e che serva unicamente a non farti venire il desiderio di abbandonare la stagione a metà (vedi “Le Regole Del Delitto Perfetto”)?

Non da ultimo, perdo anche interesse per le Serie TV slegate, cioè quelle per cui ogni episodio è fine a sé stesso, fatta salva l’ambientazione di base, tanto da potere avere stagioni infinite (vedi “24” o “Person Of Interest”).

Fortunatamente qualche serie TV esula dalle casistiche citate, ma purtroppo la maggioranza inciampa in una di esse.